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La condanna di Delmastro a 8 mesi per rivelazione di segreto d’ufficio è stata bollata dalla maggioranza, e dallo stesso sottosegretario, come «politica». Il motivo risiederebbe nel fatto che la stessa accusa aveva chiesto l’archiviazione per mancanza di prove sulla circostanza che Delmastro fosse a conoscenza che quei documenti erano classificati come «a limitata divulgazione». Non solo. Nella ricerca di «casi simili» è emerso un precedente (Luciano Capone ne ha scritto sul Foglio) che però è finito in maniera diversa per lo «spifferatore» di turno.
Bisogna risalire all’aprile del 2020 quando l’ex pm milanese Paolo Storari passò all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo i verbali degli interrogatori dell’avvocato Piero Amara sulla «loggia Ungheria» ancora coperti da segreto investigativo. Un caso pieno di interrogativi tant’è che Francesco Greco, procuratore di Milano dal 2016 al 2021, sulla questione disse: «Non sono mai state chiarite le circostanze di tempo, di modo e di luogo in cui Storari ha dato i verbali a Davigo».
Ma a noi interessa come finì quella storia. I giudici decisero di assolvere Storari stabilendo che era incorso in errore perché convinto di «interloquire con un soggetto legittimato a ricevere quelle informazioni e di veicolarle allo stesso per finalità istituzionali». C’è un però. È vero infatti che è previsto il passaggio di atti coperti dal segreto d’ufficio al Csm ma questo «passaggio» prevede un iter preciso. I documenti devono essere inviati dentro un plico riservato al comitato di presidenza del Csm e non consegnati a uno dei singoli consiglieri.
Delmastro viene condannato anche perché, da avvocato penalista e sottosegretario alla Giustizia, non poteva non sapere che quei documenti erano riservati. Nel precedente di Storari, che ricordiamo era ed è un pm fra i più esperti che abbiamo, i giudici non hanno usato lo stesso metro affermando che era stato «indotto» all’errore, proprio dall’allora consigliere del Csm Davigo.
Se da una parte un «professionista» della giustizia non poteva non sapere, dall’altro un pm esperto poteva non sapere. Strano, ma così è andata. Quindi forse il problema principale non è nella «spifferata» di Delmastro a Donzelli nella casa che condividevano o in Transatlantico come racconta il deputato fiorentino di FdI, né la chiacchierata fra Storari e Davigo nel salotto di quest’ultimo o dovunque sia avvenuta. Ma l’aleatorietà con cui i giudici sentenziano sui casi di rivelazione di segreto d’ufficio.
Un’incertezza che può dare adito non solo a una insicurezza da parte dell’imputato ma anche a letture inquietanti. Nel caso Storari sono stati in molti a chiedersi se per caso i giudici non abbiano deciso di agevolare il «collega». E altrettanti si sono interrogati se la condanna a Delmastro non fosse politica. Ecco perché avere un’interpretazione certa del reato permetterebbe anche alle toghe di difendersi dalle accuse di essere «politicizzate» o «corporative».