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Per anni, Milano è stata il fiore all’occhiello del centrosinistra italiano: una metropoli moderna, efficiente, “europea”. E Beppe Sala ne è stato il volto rassicurante. Tecnico, manager, ecologista, con quella patina di civismo che piace anche ai moderati. Ma dietro il marketing politico e le promesse di “rigenerazione urbana” sostenibile, qualcosa si è rotto. E oggi a raccontarlo non sono più solo gli attivisti o gli urbanisti critici, ma la magistratura.
L’inchiesta della Procura milanese ha infatti colpito nel cuore la città, rivelando un presunto sistema di favoritismi, pressioni indebite e nomine opache. E stavolta non si può dare certo la colpa alla destra. Infatti, quando la magistratura indaga dall’altra parte, il centrosinistra alza la voce. Ma quando le ombre si allungano su casa propria, scatta il riflesso del silenzio, dell’autodifesa. Ed è qui che la vicenda diventa ancora più grave. Non tanto per le accuse — che sarà la magistratura a verificare — ma per la reazione della politica. O meglio: per l’assenza di reazione. Quando simili inchieste toccano esponenti del centrodestra, si levano voci forti, indignate, mobilitazioni civiche e richieste di dimissioni immediate. Quando la corruzione sfiora chi siede a sinistra, la linea cambia: prudenza, attesa, silenzio. Così la sinistra svela il suo vero volto, cioè quello di brandire la legalità come una clava contro gli avversari politici, per poi restare in silenzio quando i sospetti colpiscono la propria amministrazione.
L’inchiesta potrebbe chiudersi con un’archiviazione, o aprirsi a scenari più gravi. Ma resta una certezza: Milano è ferita. E lo è due volte: dalla possibilità che dietro i suoi progetti “visionari” ci sia un sistema malato, e dal fatto che chi dovrebbe denunciare e correggere questo sistema — la sinistra — sceglie il silenzio. Ma il cemento sporco, prima o poi, crolla. E sotto le macerie resteranno solo le loro promesse mancate.