Bancomat Mediobanca: per la "resa" l'ad Nagel chiede 100 milioni di euro

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Enrico Cuccia si rigira nella tomba e se potesse chiederebbe i danni d’immagine. I giuslavoristi di Alberto Nagel studiano l’ultimo colpaccio: chiedere una manleva ed una buona uscita di cento milioni di euro ed infine, forse, un patto di non concorrenza. È un atto di resa: la fortezza si sta sgretolando.

Mediobanca, da tempio del silenzio, è diventata un bancomat di lusso. La sobrietà è morta. Il cinismo è sopravvissuto, ma solo nella versione liquidazione di fine stagione. Viene da chiedersi chi abbia potuto suggerire all’Ad di Mediobanca – che si è sempre professato, almeno a parole, uomo di mercato, facendo oggi invece slalom tra le assemblee per schivare i confronti con gli azionisti – di imboccare una via crucis contro il governo e il ministro dell’Economia, accusandoli quasi di «manipolazione del mercato». Come se in Francia o in Gran Bretagna i governi non si permettessero mai di mettere mano agli scacchieri bancari. Ma si sa che certe amnesie selettive sono un classico della Piazzetta.

Per il gran finale, Nagel si è affidato all’ultimo «giapponese» superstite dell’era Cuccia: il notaio Piergaetano Marchetti. Di famiglia lombarda, è stato per decenni il punto di riferimento dell’establishment milanese. Assieme ad Alberto Crespi, Alberto Mignoli e Guido Rossi, era uno dei quattro assi nel mazzo di Cuccia che venivano calati con chirurgica spietatezza nei rispettivi ambiti: civile, commerciale e, soprattutto, penale. Sono loro i protagonisti dei famigerati assalti ai Ferruzzi e ai Ligresti, per citarne solo due.

Ora resta solo Marchetti, e con lui l’ambiziosissima moglie Ada Gigli, soprannominata «la zarina» ai tempi di RCS – quando sempre Mediobanca ebbe la pessima idea di mettere il marito in Rizzoli. Leggendaria la frase attribuita a Vincenzo Maranghi, stesso cinismo di Nagel, ma condito da un’ironia dissacrante: «Se lo incrocio per strada, prima cambio marciapiede e poi sputo per terra…». Perfidie settentrionali. E poi parlano dei romani e dei napoletani!

Nagel si era illuso di ritrovare in Marchetti le virtù degli altri tre assi, soprattutto quelle di Guido Rossi e del suo noto fil rouge con la Procura di Milano ai tempi di Borrelli e Greco. Ma, anche con tutta l’immaginazione possibile, nello schema «MPS vs Mediobanca», un reato non lo si trova proprio. Ed è curioso come sugli investimenti delle casse previdenziali – Enpam, Enasarco e altre – nel sistema bancario, oggi descritti da certa stampa come frutto di un complotto finalizzato al «nagelicidio», si dimentichi che fu proprio Banca d’Italia a caldeggiarli.

Nel 2015 – con Renzi a Palazzo Chigi, Padoan al Mef e Visco in Via Nazionale – Enpam, Cassa Forense, Inarcassa, Cassa Ragionieri ed Enpaia si comprarono il 10,5% di Bankitalia, poi salito al 14% nel 2018.

Nessuna procura si scomodò. Basta leggere i bilanci per capire che le casse sono storicamente presenti nelle banche. E non solo, spesso sono state determinanti ed utilizzate dai governi per operazioni straordinarie. L’ultima: l’intervento di Tim sulla Rete. Inarcassa, ad esempio – con circa 175mila iscritti e notoriamente ben gestita – a giugno 2025 deteneva l’1,9% di Intesa e l’1% di Bpm. Ma non risultano blitz della Guardia di Finanza. Solo dividendi. Mentre Mediobanca orchestra la sua crociata mediatica contro l’operazione Mps – su cui i nuovi azionisti chiederanno conto al vecchio management, forse con un’azione di responsabilità – gli analisti già guardano oltre: sanno che il core business finirà in mani nuove ed esperte, capaci di attrarre talenti anche da Londra, dove la colonia italiana di banker è la più numerosa. Mai prima d’ora avrebbero pensato di rientrare in Italia sotto la governance blindata del duo Nagel-Pagliaro.

Per la sostituzione di Nagel è in pole position Mauro Micillo: casertano di nascita, bresciano d’adozione, benedetto da re Carlo Messina. Ex carabiniere, velista, appassionato di Ventotene, riservato, magari un po’ vendicativo, ma con eleganza. Conosce Mediobanca come le sue tasche. È l’unico candidato davvero attrezzato per rimettere in carreggiata Piazzetta Cuccia. E può contare sulla fiducia dei due artefici della scalata: Franco Caltagirone, il visionario, e Francesco Milleri, probabilmente all’ultima missione bancaria per i Del Vecchio. Micillo sa che il credito al consumo cammina da solo.

La partita vera sarà integrare Mediobanca Premier con Widiba. La prima è più grande e più prestigiosa ma, a parità di business (i consulenti finanziari sul territorio), il gioiellino digitale ereditato da Marco Morelli tiene testa. La chiave sarà fondere la forza del brand Mediobanca – prestigioso soprattutto al Nord – con la superiorità tecnologica di Widiba. Se funziona, sarà il matrimonio dell’anno.

Persino l’istrionico patron di Azimut, Pietro Giuliani, plaude all’operazione. Nel frattempo, a Piazzetta Cuccia l’unica operazione in corso è l’exit strategy di Nagel, che sogna di emulare il suo primo capo, Gerardo Braggiotti, detto «bragiottino» e aprire una boutique tutta sua magari a Londra, dove sembrerebbe lui già viva da tempo. Per farlo – come ha notato Osvaldo De Paolini – colpisce come il management dell’istituto milanese (un centinaio di dirigenti in tutto) sia riuscito ad accelerare una serie di decisioni a proprio palese vantaggio, come la liquidazione immediata in denaro, al termine dell’Ops di Mps, del piano azionario differito.

Da tempio laico del capitalismo italiano, Mediobanca è diventata un outlet di fine impero. E Cuccia? Continua a rigirarsi sottoterra e non trova pace.


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