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Il nuovo singolo «Tromba» e una tournée che lo porterà in giro sui palchi dell’estate con i suoi Aretuska. Roy Paci è venuto a raccontare i nuovi progetti nell’edicola degli artisti de Il Tempo di piazza Colonna. (GUARDA LA VIDEO INTERVISTA)
Roy Paci, a chi è dedicato il nuovo singolo «Tromba»?
«È dedicata proprio alla mia tromba che, da 40 anni, io chiamo Sofia. Per me è un essere vivente e dentro di lei ho trasferito parte della mia essenza,del mio respiro e del mio tempo. È la cosa con cui ho passato più tempo nella vita. Era doveroso omaggiarla perché con lei ho detto e fatto cose molto più intense di quelle che avrei potuto fare con la mia sola voce. Grazie al linguaggio universale della musica, sono riuscito a penetrare nelle comunità, a carpire il segreto di certe tradizioni musicali: dai Mapuche del Brasile fino all’Africa».
Lei ha vissuto in decine di città diverse. Cosa l’ha spinta a viaggiare così tanto?
«La curiosità generata da una vecchia radio Geloso che mia nonna aveva a casa e che accendevo negli anni ’70 e ’80. Grazie a lei ascoltavo le voci di tutto il Mediterraneo. Fino a 12 anni ero fermo nelle mie sicurezze musicali, in una sorta di comfort zone. Ma così ero intrappolato solo in un certo tipo di cultura, costumi e stereotipi. Nella Sicilia degli anni ’70 e ’80 c’era un forte decentramento geografico e avvenivano cose davvero pesanti. Attraverso la radio ho aperto un varco spazio-temporale che mi ha permesso di entrare in contatto col resto del mondo. Sognavo di stare in mezzo agli organici egiziani che suonavano le musiche di Umm Kulthum, una voce incredibile che paragonavo a quella di Rosa Balistreri, la madre della musica siciliana. Come diceva Camilleri, ho potuto vedere il filo rosso che unisce le cose e soprattutto i sud del mondo che affrontano con gioia e felicità anche argomenti molto tristi».
Più o meno tra le righe, il testo di «Tromba» affronta tematiche molto diverse tra loro. Qual è il messaggio della canzone?
«La parola tromba si presta a essere facilmente ironizzata. La ritroviamo nella tromba delle scale dove, a volte, inciampiamo e quella potrebbe essere una metafora dei vari inciampi della vita. Poi c’è la nefasta tromba marina che uso per parlare di quello che sta accadendo nel mondo dal punto di vista climatico. Insieme a Lorenzo Vizzini ci siamo divertiti ad analizzare con ironia le varie declinazioni della tromba».
All’inizio della carriera ha lavorato anche nei villaggi turistici e accanto a lei c’era un giovane Fiorello. Che ricordi ha di quegli anni?
«Sono nato in una famiglia dove si doveva lavorare e, se volevo studiare la musica, me la dovevo pagare da solo. Dovevo necessariamente fare qualcosa per alimentare la mia passione. Con la musica volevo campare, non volevo diventare famoso a tutti i costi e devo dire che alla fine ce l’ho fatta. I miei primi passi sono stati divertentissimi: mi sono ritrovato a fare di tutto. Nei villaggi turistici ho incontrato di nuovo Saro. Ad Augusta Rosario Fiorello era chiamato così da tutti. Con lui al paese ho trascorso parte dell’adolescenza. Sono anche coetaneo di Beppe Fiorello e con loro formavamo una comitiva di persone eccentriche, un po’ artisti e fuori dagli schemi. Alla fine ci siamo ritrovati in questo villaggio turistico a fare un gran casino. In un paio d’anni si passava da servire i piatti al ristorante, come faceva Fiorello all’inizio, fino a diventare capo villaggio. La sua carica e la sua energia la conoscevamo già ma non immaginavamo fosse così potente. Saro è davvero un personaggio e un uomo incredibile. Ha meritato il successo che sta avendo».
Qual è stato il momento più difficile della sua carriera, la crisi più profonda?
«Non ho mai avuto particolari difficoltà perché sono sempre stato consapevole che, per vivere, avrei potuto anche suonare in strada. Avrei fatto musica anche senza avere successo. Chiaramente ci sono state cose personali o percorsi paralleli che, ogni tanto, sono stati un impedimento o un’interruzione. Ognuno di noi ha le sue difficoltà in famiglia ma bisogna saperle superare con tutte le forze. È una questione di testa. Io vedo sempre il bicchiere mezzo pieno e mi auguro di infondere agli altri questa energia positiva. Soprattutto ai giovani ai quali ho bisogno di restituire tutto ciò che non mi è stato dato quando ero giovane».
A proposito di giovani, cosa pensa della scena musicale odierna, dalla trap agli altri generi in classifica?
«Una ficata assoluta. Tutte le evoluzioni musicali sono importanti. Con Internet speravo che la gente percepisse i messaggi musicali e avesse maggior accesso alle informazioni. Invece mi sto rendendo conto che dovremmo combattere l’algoritmo dell’appiattimento culturale. Oggi c’è più omologazione ma non si può generalizzare. Come diceva il maestro Battiato, la musica o è bella o fa cacare. Anche nella trap ci sono cose che non valgono nulla e altre molto interessanti. È giusto rompere gli schemi e spaccare i movimenti musicali: si creano le fratture in cui inserire il filo d’oro che usano i giapponesi per aggiustare le ceramiche rotte».
Il tour estivo con gli Aretuska si intitola «Live, Love & Dance Tour». Cos’ha preparato per il pubblico?
«Due ore di concerto in cui salto come una cavalletta impazzita. Da 30 anni suono, canto e vado in costante iperventilazione. È molto pesante ma ci metteremo in forma in vista dell’estate. Pescheremo dagli album precedenti e aggiungeremo gli ultimi singoli. Ci stiamo limitando a fare date in Italia e solo qualcuna all’estero. Poi ci prepareremo per l’uscita del nuovo album programmata per il prossimo inverno. È giusto utilizzare anche parti elettroniche e sequencer ma noi suoniamo davvero. Siamo come una famiglia che si vuole bene e trasmettiamo al pubblico tutta l’energia positiva. Il nostro live è davvero un bel rituale».