L'esplosione del gpl come un mini terremoto. Il pericolo ora è sottoterra

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Il giorno dopo la spaventosa esplosione avvenuta in via dei Gordiani, è arrivato il momento di ricostruire. Non solo materialmente, rimettendo insieme i frantumi di edifici e scuole e case, ma pure di ricostruire dinamiche, cause, momenti di quella terrificante mattina. Certezze granitiche su cosa sia davvero accaduto, al momento, non ce ne sono e non potrebbe essere altrimenti. Ma mettendo assieme testimonianze oculari, racconti dei soccorritori e analisi degli esperti, alcuni aspetti iniziano progressivamente a rischiararsi. A far scattare l’allarme, poco dopo le ore 8, sono stati dei piccoli incendi divampati nella pompa di benzina. Dunque all’arrivo dei primi soccorsi nel distributore c’erano già delle fiamme e del fumo ela prima esplosione, piccola, era già avvenuta, forse passata inosservata, forse perché coperta dal rumore delle sirene.

 

Ma a bruciare, oltre alle colonne di rifornimento, era anche una cisterna carica di gpl, che i vigili del fuoco hanno cercato di spegnere. Secondo alcune testimonianze, i gestori avrebbero fatto in tempo a chiudere le valvole del vano interrato destinato ad accogliere il gas, ma non quelle della cisterna. Intanto, però, le fiamme stavano scaldando sempre di più il gpl nella cisterna, dando luogo a quel fenomeno che in gergo tecnico viene chiamato “Bleve”, acronimo di Boiling Liquid Expanding Vapor Explosion, ossia esplosione da espansione di vapore di un liquido in ebollizione. In poche parole, il “Bleve” si verifica quando un contenitore pressurizzato contenente gas liquido a temperatura superiore al suo punto di ebollizione normale all’improvviso si rompe. Nel nostro caso, con il gpl, il”Bleve” si è verificato quando il contenitore è stato esposto a fonti di calore esterne, come, appunto, l’incendio. Il liquido, insomma, ha iniziato a bollire, il serbatoio non è riuscito contenere la pressione e si è rotto. Il contenuto liquido infine si vaporizza, creando una violenta esplosione meccanica.

 

Cioè quella che alle 8.18 di venerdì ha investito l’intera area di via dei Gordiani. Intanto, ieri l’Arpa Lazio ha diffuso i primi risultati del monitoraggio dell’aria effettuato in questi giorni, verificando la «presenza di diossine-TEQ pari a 1 pg/m3» e affermando che l’incendio «ha dunque effettivamente generato diossina». Questo dato, però, va interpretato nella corretta maniera evitando allarmismi, come spiegato da Giuseppe Napolitano, direttore della Protezione civile di Roma. «Al momento – ha dichiarato – possiamo dire di aver scongiurato il peggio, essendo la prima giornata di monitoraggio quella più a rischio dal punto di vista della tossicità dell’aria. La presenza di diossina in questi casi è normale, ogni incendio la genera.

 

L’importante è la concentrazione, e quella rilavata è ben al di sotto del livello di guardia. Questo grazie alla velocità con cui i vigili del fuoco hanno operato, spegnendo le fiamme in tempi rapidi e quindi riducendo la quantità di diossina sprigionata nell’aria». Napolitano ha parlato anche della necessità di monitorare la situazione statica del sottosuolo della zona, che, come è noto, presenta numerose cavità e gallerie al di sotto del suolo. «Da domani – ha proseguito il direttore – dovrebbero iniziare le indagini speleologiche per verificare le condizioni delle tante cavità sotterranee presenti nella zona. Anche su questo punto, voglio esprimere un cauto ottimismo: le cavità sono censite e periodicamente sottoposte a lavori di consolidamento». Sono stabili, infine, le condizioni dei due feriti più gravi dell’esplosione, entrambi sedati e sottoposti a ventilazione meccanica presso l’ospedale Sant’Eugenio.

La Procura di Roma ha ipotizzato i reati di lesioni e disastro colposo e attende l’informativa della squadra mobile di Roma, dei carabinieri e dei Vigili del fuoco.


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